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Conclusioni sulla transizione dal capitalismo al socialismo
Testo dell'Ufficio politico del Comitato Centrale del KKE *
In occasione del 75° anniversario della fine della seconda guerra mondiale
Indagare sull'andamento della lotta di classe per il rovesciamento del capitalismo e la costruzione del socialismo-comunismo nel corso del Novecento è una grande sfida per il movimento comunista. È inoltre una necessità, un requisito per la sua analisi politico-ideologica e, in molti Paesi, per la sua riorganizzazione, per il suo rafforzamento generale; per permettergli di conquistare il sostegno dei lavoratori all'avanguardia, degli autonomi, degli studenti medi e universitari, per metterlo in grado di influenzare e di attirare gli elementi più avanzati nei settori della scienza e dell'arte. È una condizione indispensabile per la preparazione, in modo tale che in presenza delle condizioni rivoluzionarie sia possibile attuare in modo decisivo e consolidare la nuova avanzata rivoluzionaria verso una società comunista.
L'esperienza delle insurrezioni rivoluzionarie nel corso del Novecento non è ancora stata analizzata appieno nelle sue potenzialità e punti deboli, così come nelle sue difficoltà. Non consideriamo agevole tale compito, sebbene il KKE e altri partiti comunisti siano impegnati in questo sforzo. Non è un caso che epoche storiche simili, dense di eventi decisivi e segnate dalla complessità degli sviluppi sociali - come l'era della transizione dal feudalesimo al capitalismo o, ancor prima, quella del passaggio dalla società schiavile a quella feudale - siano tuttora oggetto di analisi, e che si continuino a scoprire e a interpretare eventi e processi importanti che hanno determinato mutamenti qualitativi.
Il periodo segnato dallo scoppio della prima guerra mondiale (1914) e dalla vittoria della Rivoluzione socialista d'Ottobre in Russia (1917) fu acutamente definito da Lenin come il «periodo di transizione dal capitalismo al socialismo», segnato dal rovesciamento rivoluzionario dell'«imperialismo, fase suprema del capitalismo». Tuttavia, gli sviluppi della lotta di classe nel corso del Novecento si sono rivelati più complessi delle indubbie e gloriose vittorie quali la Rivoluzione d'Ottobre, la totale disfatta delle truppe fasciste a Stalingrado (1943), la transizione postbellica di otto Paesi dell'Europa centrale e orientale alla costruzione del socialismo, la Rivoluzione Cinese (1949), la Rivoluzione Cubana (1959) e la sconfitta dell'imperialismo americano in Vietnam (1975). Ciononostante, non è stato possibile prevedere la diffusa controrivoluzione e l'avanzata del capitalismo che hanno caratterizzato la fine del secolo.
Il 75° anniversario della decisiva avanzata dell'Armata Rossa a Berlino offre un'opportunità per elaborare alcuni punti generali nel contesto dei risultati ottenuti sinora.
I MUTAMENTI NEI RAPPORTI DI FORZA GLOBALI DELLA LOTTA DI CLASSE TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
Il primo conflitto mondiale preparò il terreno per le condizioni rivoluzionarie in Russia che condussero dapprima al rovesciamento dello zar (febbraio 1917) e quindi, nel contesto di un conflitto non soltanto con il Governo Provvisorio borghese, ma anche con le forze piccolo-borghesi e opportuniste all'interno dei soviet, alla vittoria della Rivoluzione Socialista d'Ottobre.
La vittoria iniziale della Rivoluzione d'Ottobre non diede a Lenin, il suo leader teorico e politico, la certezza che la costruzione del socialismo si sarebbe consolidata in Russia, se a essa non avesse fatto seguito una rivoluzione vittoriosa in Germania.
In Germania, tuttavia, non si verificarono sviluppi positivi analoghi. Le insurrezioni rivoluzionarie operaie (in particolare quelle del 1918 e del 1919) non ebbero esito vittorioso, soprattutto a causa dell'inadeguata preparazione rivoluzionaria del fattore soggettivo. E anche altre insurrezioni rivoluzionarie, per esempio in Finlandia e in Ungheria, non si conclusero vittoriosamente. Così, l'Unione Sovietica rimase l'unico Stato socialista, al cui interno l'aggressione esterna (imperialista e controrivoluzionaria) alimentò e potenziò le forze controrivoluzionarie interne e le loro attività per circa due anni.
Quindi, in una fase segnata dalla sconfitta delle forze controrivoluzionarie e da una relativa pace con gli Stati capitalisti (non soltanto con la Germania, ma anche con l'Intesa), l'URSS procedette ad attuare una serie di iniziative diplomatiche tattiche con l'obiettivo principale di garantirsi la sopravvivenza. Alcune di queste iniziative furono attuate quando Lenin era già alla guida del partito. Tra esse ricordiamo la partecipazione alla Conferenza di Genova, il Trattato di Rapallo con la Germania - che stava subendo le conseguenze del Trattato di Versailles - e il tentativo di stabilire contatti con la Cina e con il leader del Kuomintang, Sun Yat-sen (al quale fu intitolata un'università a Mosca nel 1925), nonché con altre «forze anti-imperialiste e anti-coloniali» non comuniste in numerosi Paesi quali India, Persia, Afghanistan e Sudafrica.
Anche la decisione di introdurre la Nuova Politica Economica (NEP)(1) dopo la fine degli interventi imperialisti e la sconfitta dei movimenti controrivoluzionari costituì un adattamento temporaneo del potere socialista e della costruzione del socialismo a un contesto esterno esclusivamente capitalista. Anche la successiva intensificazione della lotta di classe nell'URSS si inquadrò in questo contesto, con lo sforzo di industrializzazione, collettivizzazione e isolamento dei kulaki.
La sopravvivenza del primo - e a quel punto unico - Stato socialista, l'Unione Sovietica, presupponeva da un lato la solidarietà internazionale dei lavoratori, e dall'altro un atteggiamento relativamente non aggressivo da parte degli Stati capitalisti, e la loro disponibilità quantomeno a intrattenere rapporti commerciali e diplomatici. Quest'ultima condizione, in qualche misura, era dovuta anche alle scelte compiute dai governi socialdemocratici - in un contesto in cui i vecchi partiti socialdemocratici erano ormai divenuti borghesi ed erano stati cooptati dagli Stati capitalisti.
Così, l'intero percorso dell'Internazionale Comunista negli anni Venti, sino all'esplosione della crisi economica globale del capitalismo (1929), fu segnato da questi complessi rapporti di forza: un unico Stato socialista, la sconfitta delle insurrezioni rivoluzionarie operaie negli Stati europei (Germania, Ungheria, Austria), partiti comunisti deboli o caratterizzati dalla presenza di forze che non avevano rotto con la socialdemocrazia. Al tempo stesso, in molti casi i partiti socialdemocratici controllavano il movimento sindacale, mentre la mediazione diretta o indiretta dei socialdemocratici favoriva le relazioni commerciali tra gli Stati capitalisti e l'Unione Sovietica.
Su queste basi, l'Internazionale Comunista formulò la linea del «fronte unitario dei lavoratori», aprendo la strada alla cooperazione tra comunisti e socialdemocratici - prima «dal basso» e in seguito «dall'alto» - nonché con le forze democratiche borghesi, quando negli anni Trenta ebbe inizio l'ascesa del fascismo e del nazismo in Italia e in Germania.
Con l'intensificarsi delle probabilità di un nuovo conflitto, e dal momento che l'URSS sarebbe nuovamente divenuta il bersaglio di coalizioni imperialiste contrapposte, la pressione aumentò e furono intensificati gli sforzi miranti a limitare e isolare gli avversari interni (cioè le forze controrivoluzionarie e i sabotatori), ma al tempo stesso si intensificarono anche le contraddizioni: la Costituzione adottata nel 1936 estese il diritto di voto alle forze di origine o di ambito borghese, ma soprattutto la base elettorale si spostò dai luoghi di lavoro ai luoghi di residenza - una mossa tattica nei riguardi dei governi capitalisti da parte dell'URSS.
Queste valutazioni sono state adottate collettivamente dal KKE e sono illustrate in modo analitico in un documento del 18° Congresso, e più compiutamente nel Saggio sulla Storia del KKE (1918-1949) in quattro volumi, discusso e approvato da una Conferenza Panellenica.
Questo breve riassunto ha lo scopo di favorire una migliore comprensione dei rapporti di forza internazionali all'epoca della gestazione del secondo conflitto mondiale. Oggi appare chiara la necessità di esaminare in modo più ampio e approfondito la questione, sollevata dal Partito comunista dell'Unione Sovietica e dall'Internazionale Comunista in generale, dell'inasprimento della lotta di classe, della creazione di condizioni rivoluzionarie in determinati Paesi, gruppi di Paesi e continenti, dopo la crisi economica internazionale capitalista del 1929-1931 e la nuova crisi del 1937. Tale orientamento sembra concentrarsi - in modo ancor più netto dopo la seconda guerra mondiale - sui Paesi semi-coloniali, politicamente dipendenti, e sull'Asia più che sull'Europa.
Il secondo conflitto mondiale, tuttavia, costituisce una conseguenza e una prosecuzione del primo, e si sviluppa in gran parte in territorio europeo. Anche se entrambe le guerre mondiali furono scatenate da Stati capitalisti allo scopo di redistribuire mercati, colonie e semi-colonie, nella seconda fu coinvolto l'unico Stato socialista esistente. Esso fu preso direttamente di mira dall'attacco dell'Asse fascista, non ostacolato in questo obiettivo dall'altro blocco di Stati capitalisti. Al contrario - questo secondo blocco sperava sin dall'inizio in questo attacco, che da un lato avrebbe colpito l'Unione Sovietica e dall'altro avrebbe indebolito la Germania, annullandone le ambizioni. Ciò fu rispecchiato dalla sottoscrizione dell'Accordo di Monaco da parte di Gran Bretagna e Francia con la Germania e l'Italia nel settembre 1938, nonché da altri eventi quali il deliberato ritardo (di oltre nove mesi) con cui fu aperto il fronte occidentale con lo sbarco in Normandia.
Il Patto Ribbentrop-Molotov dell'agosto 1939 giunse solo un anno dopo, in reazione all'Accordo di Monaco. Dopo l'attacco dell'Asse fascista alla Francia, il bombardamento della Gran Bretagna - ma anche l'attacco all'Unione Sovietica - venne l'accordo tra URSS, USA e Gran Bretagna, ma anche la decisione di sciogliere l'Internazionale Comunista, basata su considerazioni problematiche, che di fatto incoraggiava lo sganciamento della lotta armata di liberazione antifascista dalla lotta per la conquista del potere operaio rivoluzionario.
Naturalmente, alla fine l'Unione Sovietica inferse un colpo decisivo alle forze dell'Asse fascista. La battaglia di Stalingrado costituì il punto di svolta per l'esito della seconda guerra mondiale, anche per le forze non comuniste, a prescindere dal loro livello di coscienza politica e di classe. Successivamente, la liberazione a opera dell'Armata Rossa dei Paesi occupati dalle potenze dell'Asse rafforzò le forze operaie e popolari interne.
Così, mentre il secondo conflitto mondiale volge al termine, già dall'autunno del 1944 si verifica un notevole mutamento nei rapporti di forza internazionali: uno dei blocchi contrapposti del sistema imperialista internazionale è pressoché sconfitto, l'Unione Sovietica non è più isolata ed esercita una forte influenza - almeno sulla classe operaia internazionale - mentre l'altro blocco di Stati capitalisti, guidato da Stati Uniti e Gran Bretagna, è all'apparenza l'alleato «democratico» dell'URSS, ma lavora metodicamente per indebolirla di nuovo.
In queste nuove condizioni, l'Unione Sovietica cercò di assicurarsi nuovi e più favorevoli rapporti di forza, soprattutto sui suoi confini occidentali.
Così, i colloqui negoziali tra gli Stati alleati (URSS, USA e Gran Bretagna), ma con differente natura di classe, non riguardavano soltanto la lotta contro le forze nemiche, ma anche le prospettive di tregua con le forze belligeranti (quali potenze dell'Asse avrebbero sottoscritto accordi, a quali condizioni eccetera). L'alleanza antifascista, di fatto, si interessava anche al regime politico post-bellico di questi Paesi.
Quel che è certo è che la lotta di classe pervase il confronto tra l'URSS e gli alleati capitalisti (USA e Gran Bretagna) durante i negoziati. L'Unione Sovietica desiderava che i suoi vicini instaurassero un rapporto di alleanza più stabile con lei, orientato alla costruzione del socialismo, mentre Stati Uniti e Gran Bretagna erano interessati a garantire il predominio del capitalismo in Europa, nel maggior numero di Paesi possibile - e certamente nel Mediterraneo, nei Balcani e in particolare in Grecia.
Come dimostrano tutte le prove raccolte in seguito negli archivi degli Stati capitalisti, ma anche in quelli dell'URSS, i vertici e i servizi segreti degli Stati capitalisti «alleati», quando la guerra era ancora al culmine, lavoravano già per il «dopo» con un preciso orientamento di classe - il rafforzamento del capitalismo. Questo comprendeva anche obiettivi relativi all'URSS, con piani e iniziative atti a erodere il socialismo dall'interno, sfruttando i contatti dell'URSS attraverso vari strumenti diplomatici e militari e le missioni economiche. Parallelamente, gli Stati capitalisti gettarono le fondamenta di nuove organizzazioni imperialiste di natura economica e politica (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale), di strutture internazionali come l'OCSE e l'ONU, mediante le quali aspiravano a intrappolare la politica estera sovietica, indebolendone l'orientamento di classe. Inoltre si prepararono per nuove guerre imperialiste con nuove armi, quali la bomba atomica, che fu collaudata in Giappone senza alcuna giustificazione militare, al puro scopo di minacciare l'URSS. Ma anche dopo la fine della guerra passarono repentinamente a iniziative più aggressive, quali la Dottrina Truman, che diede sostanzialmente inizio alla guerra fredda, il Piano Marshall per la ricostruzione dell'economia capitalista in Europa e in particolare nella Repubblica Federale Tedesca, e la successiva fondazione dell'alleanza politico-militare della NATO. Approfittarono della confusione o del totale disorientamento creati dall'alleanza antifascista nella strategia del movimento comunista internazionale e di decine di partiti comunisti in Paesi che avevano in un modo o nell'altro vissuto la guerra (Grecia, Italia, Francia, Belgio, Austria eccetera). Guadagnarono tempo, soprattutto nel periodo cruciale per la destabilizzazione del potere borghese (1944-1945).
Inoltre, la trappola opportunista in cui erano prigionieri i movimenti comunisti di Paesi quali gli Stati Uniti e la Gran Bretagna privò il movimento comunista della necessaria solidarietà proletaria internazionalista in Paesi in cui erano presenti condizioni rivoluzionarie, quali la Grecia e l'Italia. I partiti comunisti di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia si fecero invece promotori di una catastrofe per il movimento operaio - il sostegno a governi democratici borghesi antifascisti o antimonopolisti.
Quel che è certo è che il movimento rivoluzionario dei lavoratori si trovò privo di una strategia rivoluzionaria durante la fase conclusiva del secondo conflitto mondiale. A ciò contribuirono l'ideologizzazione della politica estera dell'URSS e anche le sue manovre tattiche, di cui fu responsabile lo stesso PCUS.
Oggi possiamo affermare che alcune delle posizioni assunte dall'URSS nei negoziati sul dopoguerra non corrispondevano alle dinamiche reali degli eventi; di conseguenza, si può concludere che esse non favorirono il rafforzamento delle prospettive del socialismo, sia nell'URSS sia in altri Paesi. Posizioni di questo tipo furono per esempio l'«accettazione in linea di principio della necessità dello smembramento della Germania» (febbraio 1945), (2) l'accettazione in linea di principio della mediazione per la cooperazione tra i primi governi post-fascisti o post-occupazione e le forze politiche borghesi in esilio (per esempio in Polonia e Jugoslavia), i negoziati per il controllo congiunto (condiviso tra Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica) degli sviluppi politici post-bellici nei Paesi sconfitti dell'Asse (Bulgaria, Romania, Ungheria, Italia) o nei Paesi che erano stati soggetti all'occupazione fascista quali la Grecia e la Jugoslavia.
LA CHINA SCIVOLOSA DELLA «COESISTENZA PACIFICA»
Una questione chiave riguarda come si possa elaborare la politica estera di uno Stato operaio impegnato nella costruzione del socialismo in condizioni sfavorevoli, cioè in condizioni di aggressione imperialista e di accerchiamento da parte di potenti Stati capitalisti. Oggi dobbiamo esaminare questa questione nella prospettiva analitica dei fatti compiuti, in modo tale da condurre un'analisi più approfondita e dialettica e meno sentimentale, esaminando eventi complessi e tenendo conto dei fatti storici.
L'URSS perseguì nei riguardi degli Stati capitalisti una politica estera determinata dalla sua esigenza di difendersi dai nemici esterni e interni.
È presente qui una contraddizione relativa alle condizioni storiche date: l'obiettivo politico-ideologico di classe della sopravvivenza dell'URSS come Stato operaio impose scelte di politica estera che non erano del tutto in linea con la dimensione internazionale della lotta di classe - un accordo di tregua, un accordo commerciale, relazioni diplomatiche e via dicendo. Naturalmente, queste iniziative non dovrebbero condurre a un'attenuazione della lotta di classe nel Paese capitalista con cui lo Stato socialista intrattiene rapporti commerciali.
Questi problemi investirono lo Stato sovietico dal momento stesso in cui esso giunse al potere. Come ricordato più sopra, divennero più complessi durante il periodo successivo alla sconfitta delle rivoluzioni europee del 1918-1923.
Più in generale, tuttavia, la storia della lotta tra Stati caratterizzati dalla medesima natura di classe evidenzia sistematicamente iniziative tattiche in politica estera. Osserviamo così come la formazione di un'alleanza assume un carattere congiunturale - gli accordi servono cioè gli interessi di uno Stato specifico in un momento specifico. Ciò è evidente nel corso della storia del Settecento e dell'Ottocento, quando non esistevano Stati socialisti. Ma si ripresenta sistematicamente anche nella politica estera degli Stati capitalisti nel Novecento, benché in quell'epoca l'Unione Sovietica abbia sempre costituito il loro bersaglio comune sul piano strategico.
Anche nel corso della prima guerra mondiale, tuttavia, il neonato Stato sovietico aveva tentato invano di giungere ad accordi di armistizio tra gli Stati dell'Intesa e la Germania. Non era quindi nuovo alla logica degli accordi con gli Stati nemici di classe (da un lato l'URSS, dall'altro la Gran Bretagna e in seguito gli Stati Uniti e la Francia) con l'obiettivo di salvaguardare la pace del dopoguerra. La differenza era che nel corso della seconda guerra mondiale il potere contrattuale dell'URSS era maggiore, mentre il timore di classe degli Stati capitalisti era accresciuto da eventi che avrebbero potuto condurre a rovesci in vari Paesi, tra cui la Grecia e l'Italia. Gli eventi successivi provano che, nell'ottica degli «alleati» capitalisti, dietro le iniziative coercitive e congiunturali sul piano diplomatico veniva preparato l'inizio della cosiddetta «guerra fredda», con l'appoggio alle forze controrivoluzionarie in vari Paesi quali Polonia, Ungheria, Jugoslavia e in seguito Cecoslovacchia, accompagnato dall'eliminazione a ogni costo delle forze popolari armate in Grecia e in Italia.
Certo, i vertici del partito e dello Stato in URSS non abbassarono la guardia, ma attribuirono un peso maggiore del necessario alla lotta unita contro il fascismo tedesco. Resta da appurare se tale decisione fu determinata da una logica problematica per cui l'indebolimento della Germania (condotto attraverso lo smantellamento della sua industria militare o la sua spartizione) avrebbe costituito un fattore nella stabilizzazione della pace con la prevalenza di governi democratici borghesi, antifascisti e «pacifisti», in una serie di Stati capitalisti.
Venne ben presto riaffermato che a fomentare l'aggressione imperialista non era soltanto il nazionalismo tedesco (o italiano, o giapponese eccetera), bensì la tendenza generale degli Stati capitalisti a espandere i propri territori o almeno la propria influenza e il loro controllo sullo sfruttamento preferenziale delle risorse naturali e del potenziale di forza lavoro di altre regioni.
Per questo nei decenni successivi gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia effettuarono operazioni militari in Africa, Asia e America Latina, nel tentativo di evitare operazioni analoghe nei loro territori.
Naturalmente, il prezzo dei conflitti che li contrapponevano fu in massima parte pagato - in termini di sangue, miseria, profughi e immigrazione - dalle popolazioni dei Paesi che non avevano ancora dato vita a Stati capitalisti potenti (semi-colonie e dittature militari o monarchiche che collaboravano con questa o quella potenza capitalista). Ma fu pagato anche dalle loro stesse truppe, come nel caso degli Stati Uniti in Vietnam.
Già negli anni Quaranta, verso la fine della seconda guerra mondiale, le iniziative diplomatiche e negoziali dei sovietici, nonché la loro posizione nei riguardi degli altri partiti comunisti, subirono l'impatto negativo dell'ideologizzazione della politica estera dell'URSS. In altre parole, specifiche scelte politico-strategiche divennero oggetto di teorizzazioni, il che ebbe un effetto negativo sullo sviluppo della lotta di classe internazionale per la vittoria del socialismo.
Il problema della valutazione dei rapporti di forza, in relazione alla formazione degli Stati territoriali creatisi dopo la seconda guerra mondiale, ma anche alla loro conformazione politica, non fu affrontato in modo realistico dai partiti comunisti e dallo stesso PCUS.
Questa valutazione non realistica dei rapporti di forza in Europa e altrove - non soltanto sul piano dei rapporti tra Stati capitalisti, ma anche su quello dei rapporti tra capitalismo e socialismo - è rispecchiata dai documenti del 19° Congresso del PCUS e, successivamente, dalla Conferenza Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai. L'imperialismo europeo (cioè quello di Gran Bretagna e Francia) venne sottovalutato; i suoi vertici vennero sovente considerati asserviti e obbedienti agli Stati Uniti, e le loro possibilità di ricostruzione postbellica vennero sottostimate. Il ruolo dell'URSS e degli otto nuovi Stati socialisti europei nel contesto della lotta di classe a livello globale tra capitalismo e socialismo fu invece sopravvalutato, e non si tenne debitamente conto dell'esistenza di situazioni rivoluzionarie in altri Paesi europei quali la Grecia e l'Italia.
I documenti sovietici, quelli dei partiti comunisti degli Stati capitalisti, ma anche quelli delle loro Conferenze Internazionali, nel corso degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta evidenziano il grave problema dell'interpretazione non classista della guerra e della pace - quella che fu definita la «coesistenza pacifica» tra Stati socialisti e Stati capitalisti a democrazia borghese.
Nel nostro Paese, gli esponenti di varie correnti opportuniste obiettano sovente alla posizione del KKE riguardo all'assenza di una strategia rivoluzionaria nel movimento comunista internazionale nel corso della seconda guerra mondiale, e alla nostra valutazione riguardo all'ideologizzazione della politica estera dell'URSS. La loro principale argomentazione è che in otto Paesi dell'Europa centrale e orientale si costituirono «repubbliche popolari», alcune delle quali ebbero uno sviluppo tale da poter essere considerate come forme dello Stato operaio rivoluzionario, della «dittatura del proletariato». Si tratta di un'argomentazione priva di fondamento, che non trova conferma né nelle intenzioni programmatiche dichiarate inizialmente dai governi in questione, né negli sviluppi storici (conflitto tra lavoratori e forze borghesi).
La formazione di governi misti (con forze borghesi e comuniste), con programmi democratico-borghesi, è compresa negli accordi di armistizio. Naturalmente, ben presto la lotta si intensificò e volse in favore della classe operaia rivoluzionaria, lasciando però spazio significativo alla tolleranza verso le forze capitaliste: l'impiego di manodopera salariata straniera non fu del tutto abolito, e negli anni Sessanta si diffuse il dibattito sul «socialismo di mercato», sull'«autogestione» delle imprese e su altri concetti analoghi. Per contro, in Paesi come la Grecia, la lotta armata di liberazione rimase prigioniera di una linea di intesa con le forze antifasciste borghesi esemplificata da accordi quali la Conferenza del Libano e l'Accordo di Caserta.
Indubbiamente, nel decennio successivo la lotta di classe si intensificò. L'imperialismo internazionale non era soddisfatto dei rapporti di forza sanciti dagli accordi che avevano messo fine alla seconda guerra mondiale. L'intensificazione della lotta di classe influì anche sulla situazione interna dell'Unione Sovietica, come esemplificano le Conferenze Teoriche del PCUS - per esempio quella sull'economia del 1952 - e l'elezione della segreteria del Comitato Centrale all'indomani della morte di Stalin, e si concretizzò nella svolta opportunistica a destra del 20° Congresso del PCUS (1956) e negli interventi su vari partiti comunisti, tra cui il KKE (in occasione della 6ª Sessione Plenaria dello stesso anno).
SUL RUOLO DELLA PERSONALITÀ RIVOLUZIONARIA
La svolta a destra del PCUS venne giustificata come liberazione dal «culto della personalità», e la corrispondente svolta del KKE come «condanna del settarismo»; in sostanza si trattò di una rinuncia all'azione politica più eroica contro le forze reazionarie interne e straniere.
L'opportunismo di destra dominante sfruttò deliberatamente l'attacco ai leader per modificare il clima politico generale, consapevole che le masse - comprese le forze comuniste d'avanguardia - tendono a mitizzare o a demonizzare i loro leader, attribuendo loro una responsabilità pressoché esclusiva delle vittorie o delle sconfitte. Naturalmente, i borghesi fanno sostanzialmente lo stesso con i loro leader, proprio allo scopo di sfruttare questa tendenza delle masse che permette loro di perpetuare il loro potere sacrificando perfino i loro leader nominali.
Ciò che ci interessa è la relazione tra la personalità del leader rivoluzionario e le specifiche condizioni economiche, sociali e politiche nel cui contesto essa si sviluppa, si evolve e agisce come personalità rivoluzionaria.
Si tratta senz'altro di una questione che merita di essere studiata, dal momento che la sua analisi teorica generale non è stata condotta in modo soddisfacente, sebbene le esperienze storiche, almeno quelle del KKE e del PCUS, offrano materiale importante per questo studio, specie nei critici anni Trenta, Quaranta e Cinquanta.
Tra gli elementi da analizzare vi è la capacità della personalità di mobilitare tutte le dinamiche del partito, le forze d'avanguardia della classe operaia e l'intellettualità militante radicale.
In altre parole, una personalità-guida e una leadership collettiva nella lotta rivoluzionaria sono due delle condizioni essenziali che ne determinano l'esito.
Un fattore decisivo è l'unità dialettica di una prospettiva di classe caratterizzata da un approccio scientifico alla politica, soprattutto nella lotta politica rivoluzionaria - una relazione che viene mediata a livello soggettivo e si intreccia quindi con la relazione tra personalità e collettività nei vertici.
Per quanto questa possa apparire una questione secondaria o accessoria in relazione all'esito della lotta tra capitalismo e socialismo nel contesto dell'intensità di tale lotta durante le due guerre mondiali, in realtà non lo è affatto.
Naturalmente, è nostra opinione che la questione non può essere esaminata dal punto di vista della borghesia, che attribuisce un'importanza esagerata alle caratteristiche personali - per esempio, nella seconda guerra mondiale, alla personalità di Hitler (in senso negativo), a quella di Churchill (in senso positivo) o anche a quella di Stalin. Dobbiamo tuttavia contrastare anche le esagerazioni che caratterizzano talora anche la storiografia comunista, dove si incontrano esaltazioni o condanne esagerate delle caratteristiche personali di specifici leader; per esempio, perfino nei documenti del PCUS ci si imbatte in valutazioni particolarmente negative della personalità di N. Zachariadis.
In conclusione, affermeremo che la leadership rivoluzionaria, e le personalità specifiche dei leader rivoluzionari, vanno valutate a prescindere dalle intenzioni e dalle inclinazioni, in funzione della loro capacità di svolgere in modo tempestivo e appropriato i compiti che si presentano loro di volta in volta - il che è anche ciò che contraddistingue l'avanguardia del partito. Sotto questo aspetto, il partito bolscevico si assunse un compito complesso e senza precedenti, la sopravvivenza a lungo termine della rivoluzione in condizioni di accerchiamento imperialista, l'intensificazione della lotta di classe interna in direzione della costruzione di nuovi rapporti sociali, mentre nello stesso periodo il movimento comunista si andava sviluppando in Europa e nel resto del mondo con le sue contraddizioni e i suoi problemi, insieme ai suoi compiti internazionali per la vittoria del socialismo in un gruppo di Paesi.
Tale capacità, tuttavia, va valutata in funzione della sua relazione dialettica con la personalità del leader rivoluzionario mediata dalla funzione collettiva del partito, della relazione tra scientificità e classismo. Oggi, a quasi un secolo di distanza, possiamo valutare questi sforzi in modo più obiettivo, senza sentimentalismi e con maggiore completezza, con l'obiettivo di trarre conclusioni per il presente e per il futuro.
VALUTAZIONI E CONCLUSIONI COMPLESSIVE SULLA SECONDA GUERRA MONDIALE
1. La seconda guerra mondiale fu una guerra imperialista, e questa valutazione riguarda tutti gli Stati capitalisti coinvolti, a prescindere dal fatto che alcuni siano stati responsabili del suo inizio (Germania, Italia, Bulgaria e altri) e altri della creazione delle condizioni che la resero inevitabile (Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti), attraverso la loro mancata reazione agli attacchi militari dei primi.
Il carattere imperialista della seconda guerra mondiale, cioè di guerra tra Stati imperialisti per la spartizione dei mercati, non cancella il fatto che l'alleanza fascista, l'Asse, attaccò anche l'Unione Sovietica, il primo e all'epoca l'unico Stato operaio.
Anche altri Stati capitalisti furono responsabili di questi sviluppi: la Gran Bretagna e la Francia non avrebbero forse attaccato l'Unione Sovietica, ma di certo non impedirono alla Germania di prepararsi ad attaccarla. Al contrario, favorirono e desiderarono questo attacco, in quanto aspiravano al rovesciamento dello Stato operaio. Tali aspirazioni non sono cancellate dal fatto che ogni conflitto abbia una dinamica propria, che produce riposizionamenti e riorganizzazioni nelle alleanze tra gli Stati capitalisti nonché alleanze congiunturali quali quella tra Stati Uniti e Unione Sovietica, stipulata dopo che la flotta USA fu attaccata dalle forze giapponesi a Pearl Harbor.
2. L'Unione Sovietica, come Stato operaio, combatté non soltanto per difendere la propria sovranità, ma anche per difendere il proprio carattere operaio e socialista. Questa difesa coinvolse anche il movimento comunista internazionale, la sua lotta per intensificare la transizione dal capitalismo al socialismo-comunismo.
Da questo punto di vista, i partiti comunisti dei Paesi capitalisti avrebbero potuto e dovuto comprendere, e non contrastare, le iniziative tattiche prese dall'Unione Sovietica allo scopo di guadagnare tempo (per esempio il Patto Ribbentrop-Molotov) o di organizzare la propria difesa e il contrattacco (per esempio i negoziati con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna).
Per un Paese socialista in pericolo - in una situazione in cui il sistema imperialista internazionale è in guerra e diviso - è legittimo prendere alcuni provvedimenti di politica estera allo scopo di guadagnare tempo, in modo tale da potersi organizzare meglio e fronteggiare, se possibile insieme ad altre forze, eventuali operazioni militari da parte del blocco avversario, così come legittimo è condurre negoziati durante un conflitto, con l'obiettivo di mettervi fine, di raggiungere accordi per il cessate-il-fuoco che richiedano trattati internazionali e via dicendo.
Tuttavia, gli elementi che determinano il «dopo» in relazione alla lotta di classe sono più complessi. Ogni guerra ha una dinamica propria in ogni Paese coinvolto, che si tratti inizialmente di un aggressore o di un Paese occupato. In un Paese occupato, per esempio, si sviluppa una resistenza, una lotta armata - e in molti casi i rapporti di forza mutano nel corso della lotta armata di liberazione, come avvenne in Grecia, dove la lotta fu condotta in gran parte dal KKE e non dalla borghesia greca. Ha cioè luogo un processo che modifica i rapporti di forza nella lotta tra la classe operaia e le forze popolari da un lato e la borghesia, sino ad allora dominante, dall'altro. Questi mutamenti devono avere un ruolo nella «conquista del domani da parte di quale classe», che non deve essere determinato soltanto o principalmente da negoziati tra i Paesi vincitori - in questo caso URSS, USA e Gran Bretagna, Stati tra loro alleati ma diversi dal punto di vista di classe. In questa prospettiva, l'elemento principale degli sviluppi del dopoguerra riguarda lo sviluppo della lotta interna in ciascun Paese, e sotto tale aspetto le strutture interne devono avere un ruolo decisivo dal punto di vista del movimento rivoluzionario dei lavoratori, quanto più possibile fondato sulla solidarietà di classe internazionalista del movimento comunista o di uno o più Stati socialisti.
Ma gli elementi della politica estera di uno Stato socialista non devono in alcun modo essere teorizzati o ideologizzati e trasformati in aspetti della strategia del movimento comunista internazionale - né da parte dell'URSS, né da parte dei partiti comunisti dei Paesi capitalisti. In entrambi i casi, questo indebolisce la linea strategica e le possibilità del movimento comunista in ogni Paese capitalista.
L'indebita ideologizzazione da parte del PCUS e la presa di posizione opportunista dei partiti comunisti dei principali Paesi capitalisti diedero vita a un circolo vizioso che indebolì direttamente e sul lungo termine il movimento comunista in diversi Paesi coinvolti nella seconda guerra mondiale sia in veste di aggressori (per esempio l'Italia) sia in veste di Paesi occupati (per esempio la Grecia).
La conclusione è che la situazione interna e internazionale della lotta di classe e la capacità dell'avanguardia consapevole di valutare sia le correlazioni sia le interazioni sono importanti in tutte le fasi dell'attività rivoluzionaria, sia durante la rivoluzione sia nelle prime fasi del suo consolidamento, così come durante la costruzione del socialismo, dopo il consolidamento della rivoluzione e sino a quanto non si creino le condizioni adeguate a livello internazionale per il completamento della società comunista.
3. I partiti comunisti, pur guidando la lotta armata di liberazione (come in Grecia) o la lotta antifascista (come in Italia), non riuscirono a collegare tale lotta a quella per la conquista del potere in condizioni rivoluzionarie - in condizioni, cioè, in cui il potere borghese aveva già evidenziato la sua profonda crisi politica e la sua instabilità, durante il ritiro delle forze occupanti o di fronte alla sconfitta degli aggressori.
I partiti comunisti rimasero prigionieri della linea della lotta antifascista e dei negoziati interni o esterni (nel caso dell'URSS) sul regime politico postbellico dei loro Paesi.
Tale problema non è cancellato dal fatto che per alcuni Paesi, per esempio la Polonia, l'Ungheria, la Cecoslovacchia e la Romania, l'esito dei negoziati tra URSS e USA-Gran Bretagna sembrò essere relativamente favorevole, o dal fatto che la presenza dell'Armata Rossa garantì un esito favorevole alla rinnovata intensificazione della lotta di classe anche a livello dei governi, a prescindere dalla loro composizione iniziale (che comprendeva forze borghesi).
Malgrado gli sviluppi relativamente positivi in questi Paesi, il percorso generale della lotta di classe, con la relativa tolleranza accordata alle forze borghesi, lasciò conseguenze negative: i rapporti di produzione capitalisti non furono del tutto aboliti (la costituzione permetteva l'assunzione di manodopera straniera entro certi limiti, naturalmente nell'ambito del controllo statale sul salario e sulle condizioni di lavoro). La svolta opportunista e di destra del 20° Congresso del PCUS ebbe una base sociale - il graduale prevalere delle teorie di mercato sul socialismo.
4. Altri sviluppi determinati dai rapporti di forza tra URSS, USA e Gran Bretagna - quali la formazione di due Stati in Germania - si rivelarono in ultima analisi insostenibili (divisione di Berlino e assorbimento di parte di essa nella Germania capitalista), e alimentarono costantemente iniziative controrivoluzionarie che impedirono la transizione rivoluzionaria dal capitalismo al socialismo.
Ma anche l'esito della lotta di classe in Paesi come la Grecia fu in qualche misura influenzato dalle contraddizioni teoriche e politiche della «coesistenza pacifica» del socialismo con Stati capitalisti «democratici» e «pacifici», che si ritenevano guidati da uno spirito di realismo politico.
La «guerra fredda» e gli interventi «caldi» degli Stati Uniti in Corea e in Medio Oriente, la formazione della NATO, e in seguito la guerra imperialista contro il Vietnam rivelarono ben presto il vero volto dell'aggressore americano, la cui aggressività era pari a quella della Germania nazista.
Per valutare oggettivamente i rapporti di forza è necessario non sottovalutare mai il carattere sfruttatore e aggressivo del potere capitalista, a prescindere dalla forma statale che assume e dai suoi specifici riferimenti ideologici. Per questo la «democratica» UE nega il contributo decisivo dell'URSS nella seconda guerra mondiale e la accomuna alla Germania nell'ambito dei «regimi non democratici», ignorando l'enorme differenza tra i due Paesi in termini di classe - capitalismo da un lato, socialismo dall'altro.
5. Il movimento comunista internazionale deve essere pienamente consapevole di tutti gli aspetti e degli esiti della seconda guerra mondiale, e non deve avere timore della verità relativa alle sue debolezze e ai suoi errori, ma non deve nemmeno «gettare via il bambino con l'acqua sporca» - deve cioè difendere il carattere socialista dell'URSS e valutarne la politica dal punto di vista del consolidamento, del rafforzamento e dell'approfondimento dei nuovi rapporti comunisti a ogni livello, interno e internazionale.
Ormai da trent'anni, il KKE ha il coraggio di proseguire le sue ricerche, i suoi studi, le discussioni collettive nel partito e il dialogo fraterno con gli altri partiti comunisti, sempre con l'obiettivo di rafforzare la lotta di classe per il socialismo-comunismo.
* Pubblicato sul periodico "Communist Review" - Organo teorico e politico del Comitato Centrale del KKE, numero 3/2020
Note
1) La NEP era un piano di «ritirata organizzata» per la graduale eliminazione dei rapporti di produzione capitalisti, di cui sarebbe stata tollerata temporaneamente l'esistenza in forma controllata nel caso delle piccole e medie imprese; i capitalisti sarebbero rimasti nell'ambito della produzione agricola, con importazioni di capitali stranieri. Questa ritirata organizzata fu resa necessaria dalle grandi catastrofi che avevano riportato le condizioni materiali dell'economia al 1913. Ciò determinò un ritardo di sette anni nell'elaborazione del primo Piano Quinquennale e garantì altri dieci anni di esistenza ai kulaki. Lenin riteneva che nei Paesi capitalisti più avanzati misure di questo tipo sarebbero state superflue. Si veda CC del KKE, 18° Congresso del KKE, KKE. http://inter.kke.gr/en/articles/18th-Congress-Resolution-on-Socialism/ punto 14.
2) Bozza del telegramma alle ambasciate dell'URSS del 15.2.1945, riportato nella nota di accompagnamento di J. M. Maiski a V. Molotov. Il materiale d'archivio è elencato sulla pagina del ministero degli Affari Esteri russo all'indirizzo https://idd.mid.ru/-/altinskaa-konferencia?inheritRedirect=false&redirect=%2Fhome%3F
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare